LAND-ESCAPE – testo di Laura Marcolini

LAND-ESCAPE

testo di Laura Marcolini, redattrice de “Il Fotografo”

È una forzatura separare i nostri sensi uno dall’altro. La fotografia con la sua illusione di realtà – eppure le sue due sole dimensioni – ha contribuito a rendercelo sempre più chiaro. Si può fare fotografia credendola un’impronta del mondo, oppure partire da quell’impronta per raggiungere qualcosa di totalmente altro, anche solo sfruttando gli effetti dell’appiattimento delle forme sulle due dimensioni e la conseguente restituzione di continuità tra piani originariamente lontani tra loro. nikbarte e Ottavio Tomasini, mostrano esemplarmente alcune declinazioni dei cortocircuiti tra vista e tatto peculiari della fotografia, e che accompagnano quotidianamente chi ha scelto il mezzo fotografico come strumento d’espressione.

Nik Barte

Sembrerà una contraddizione riferirsi al tatto osservando immagini bidimensionali non fatte per essere toccate. Eppure il senso del tatto si rammenta di sé davanti alle visioni di nikbarte. La superficie della stampa è una soglia attraverso cui accedere a una condizione nella quale il nostro guardare si fa carezza. Accade soprattutto quando egli fa posare il nostro sguardo, mediato dal suo, sulle dune, dove un soggetto manca poiché infinito, e quell’assenza avvolge l’osservatore fino a sedurlo. A condurlo a sé. Il nostro sguardo si protende, così, verso quelle forme con il desiderio di raggiungerle, al punto da assumere le attitudini di una mano che tenta di comprendere l’incanto della bellezza, percorrendone ogni linea. È la qualità di questa bellezza a trattenere più a lungo il nostro sguardo: perché forse nulla quanto una visione consapevole del deserto può farci sentire come fossimo dinanzi a un corpo immenso assopito nella luce. Ed è, infine, una forma di gradevole sconcerto sensoriale questa ricerca di un contatto che pur sappiamo inevitabilmente impossibile.

Ottavio Tomasini

È un po’ come essere ribaltati dalla parte dello sguardo di un demiurgo che conosce l’aura delle proporzioni armoniche e le ore impeccabili delle ombre. E cosa accade a un soggetto umano collocato in punti sensibili di una scena naturale o urbana, ripreso così esattamente da assumere l’aspetto di una figura ritagliata e posizionata dalla mano di un compositore di immagini? Forse al soggetto non accade nulla, ma qualcosa accade alla qualità del nostro pensiero e del nostro sguardo. Al nostro modo di considerare l’uomo, finalmente, una porzione vivente del paesaggio, che sboccia dal paesaggio stesso. Ci suggerisce che se si nasce e cresce dentro uno scenario se ne assorbono le morbidezze e le rigidità, se ne assimilano i toni le proporzioni e le misure. E ci si assimila ad esse, su di esse si configurano lo spazio e il tempo delle proprie relazioni. Ottavio, con un passo ulteriore, lascia traccia di aver colto, in ogni inquadratura, un evento così esile e sottile da essere altrimenti invisibile, da appartenere soltanto a quella possibilità della fotografia di estrarre un sottile foglio dal tempo e rimirarlo in tutta l’incredulità che merita di suscitare.

Laura Marcolini

per Officina da Camera  aprile 2013